L’angelo del focolare al Piccolo: "Contro la violenza, l’arte non tace"


Una scena del potente spettacolo portato in scena da Emma Dante
L’immagine ha qualcosa di sudamericano. Neanche fossimo dalle parti di un realismo magico e un po’ deviato. Dove i vivi trafficano con i morti. Fianco a fianco. Come se nulla fosse. Ma é un’immagine in questo caso dai contorni feroci. Violenti. Visto che a rimanere sospesa in una sorta di non-vita é una donna uccisa dal marito. Ogni sera lui le spacca la testa con un ferro da stiro. E ogni mattina lei torna a vivere. Svegliandosi per pulire, cucinare, accudire. Per tornare a subire violenza. Ancora una volta. Ancora mille volte. Che tanto nessuno le crede. Sintesi potentissima quella da cui parte Emma Dante in "L’angelo del focolare", da oggi al Grassi di via Rovello. Quarta produzione al Piccolo per la regista palermitana. La prima risale addirittura al 2016, ai tempi del controverso "Bestie di scena". Collaborazione che non si é mai interrotta. E che l’anno scorso aveva portato a Milano l’amatissimo "Re Chicchinella". Debutto assoluto. Con Dante a firmare testo, regia, scene e costumi. "È un lavoro che nasce da una necessità profonda e lacerante – spiega la regista –, anche se non è un tema facile da affrontare. Ma l’arte deve farsi carico anche delle scomodità e dei grandi temi. Credo che possa essere definita un’esplorazione della violenza domestica come manutenzione ordinaria, mentre ci si interroga su quante volte muore una donna in questa situazione, prima di morire sul serio. Perché questa donna muore ogni minuto. E ogni minuto muore chi subisce violenza psicologica in casa, priva di una rete di protezione, del tutto dipendente a livello economico". Senza nome i personaggi. Come a sottolinearne unicamente la funzione sociale: Moglie, Marito, Figlio, Suocera. Un organigramma della sottomissione. Interpretato sul palco da David Leone, Giuditta Perriera, Ivano Picciallo, Leonarda Saffi. Mentre si va a comporre un tinello di demoni, più che di angeli. Dove manca il fiato e manca la speranza. Una dinamica di violenza irrisolvibile e radicata. Un fatto culturale. Che come tale presuppone un lunghissimo percorso prima del cambiamento. "Non c’è cronaca e non è uno spettacolo documentaristico – conclude Emma Dante –. É una visione surreale, poetica. Perché c’è comunque una poesia nel dolore di questa donna, una immedesimazione. La Moglie non può morire, perché la sua morte fa parte di una routine. Quando viene uccisa dal Marito, il Figlio, la Suocera e il Marito stesso la richiamano in vita, le chiedono di alzarsi perché la giornata deve ricominciare, perché quella violenza e quella morte sono entrate nell’ordito del tessuto domestico. Questa famiglia vive mangiandosi, divorandosi a vicenda. Mentre la moglie rassetta il letto con la faccia sporca di sangue, un segno che col trascorrere del racconto finiamo per non notare nemmeno più. Ed è forse questa l’atrocità, la cosa peggiore che facciamo: dimenticarci di quelle ferite". Repliche fino al 30 novembre.
Il Giorno



